L’angiografia: perché si esegue, come e l’integrazione con l’angioplastica coronarica
L’angiografia, chiamata anche angiografia coronarica o coronarografia, è una tecnica diagnostica invasiva che utilizza un catetere e un mezzo di contrasto per visualizzare in dettaglio le arterie coronariche.
È considerata il gold standard per identificare stenosi o ostruzioni significative.
L'angiografia
L'angiografia viene utilizzata principalmente per:
- valutare la presenza di restringimenti o occlusioni (stenosi aortica o stenosi mitralica) nelle arterie coronarie in pazienti con sintomi come dolore toracico o angina;
- trattare direttamente le lesioni coronariche identificate, ad esempio dilatando le arterie o posizionando uno stent per ripristinare il flusso sanguigno;
- gestire emergenze cardiache, come l’infarto miocardico acuto, in cui la rivascolarizzazione tempestiva è cruciale per salvare il tessuto cardiaco.
Tuttavia, non sempre l’aspetto angiografico è sufficiente per determinare la reale gravità morfologica e/o funzionale di una lesione.
La preparazione del paziente
Prima dell'angiografia, il paziente deve seguire alcune indicazioni:
- rimanere a digiuno per almeno 4-6 ore prima dell’intervento;
- informare il medico di eventuali allergie, specialmente al mezzo di contrasto iodato, e di eventuali terapie in corso, come anticoagulanti;
- sottoporsi a esami del sangue per valutare la funzione renale e la coagulazione.
Come si esegue l'angiografia
L’esame viene eseguito in un laboratorio di emodinamica, una struttura specializzata per procedure cardiache minimamente invasive.
La procedura prevede 3 step principali:
- creazione dell’accesso vascolare per l'inserimento del catetere in un’arteria, solitamente a livello del polso (arteria radiale) o dell’inguine (arteria femorale). L’accesso radiale è preferito per la sua minore invasività e tempi di recupero più rapidi;
- iniezione del mezzo di contrasto che consente di visualizzare le arterie coronarie con l’ausilio dei raggi X;
- intervento terapeutico in caso vengano individuati restringimenti o blocchi. In queste circostanze si esegue un’angioplastica coronarica, utilizzando un palloncino per dilatare il vaso e, spesso, posizionando uno stent per mantenerlo aperto;
La durata dell’angiografia varia da 30 minuti a 2 ore, a seconda della complessità del caso e degli interventi eseguiti.
L'integrazione con tecniche di imaging intravascolare e di valutazione fisiologica (FFR)
L’impiego di strumenti come l’OCT (tomografia a coerenza ottica) e l’IVUS (ultrasonografia intravascolare) ha rivoluzionato il trattamento delle malattie coronariche, permettendo di ottenere immagini ad altissima risoluzione dell’interno delle arterie.
Questi dispositivi forniscono informazioni cruciali per una gestione ottimale delle lesioni coronariche:
- valutazione della composizione delle placche aterosclerotiche: è possibile distinguere le placche fibrose, calcifiche o lipidiche, migliorando la comprensione del rischio associato.
- misurazione precisa del diametro arterioso e del punto ottimale per lo stent: garantisce un posizionamento accurato, riducendo il rischio di restenosi o di malapposizione dello stent.
- riduzione delle complicanze procedurali: il monitoraggio in tempo reale permette di prevenire dissecazioni o perforazioni delle arterie.
Queste tecnologie consentono di personalizzare il trattamento, adattandolo alle caratteristiche anatomiche e patologiche specifiche di ciascun paziente.
La riserva di flusso frazionale (FFR) rappresenta uno strumento fondamentale per determinare l’impatto funzionale delle stenosi coronariche. Misura la pressione sanguigna a monte e a valle della lesione per stabilire se questa sia sufficientemente grave da giustificare un intervento.
Questa metodologia consente di:
- identificare le lesioni realmente responsabili dei sintomi ischemici.
- ridurre il numero di procedure invasive inutili, limitando i rischi associati.
- migliorare gli esiti clinici, grazie a decisioni terapeutiche basate su dati funzionali e non solo anatomici.
L’integrazione di imaging intravascolare e valutazione fisiologica sta trasformando la cardiologia interventistica, rendendola sempre più precisa e basata sulle esigenze specifiche del paziente.
Questa combinazione migliora non solo la sicurezza e l’efficacia delle procedure, ma anche gli esiti a lungo termine, contribuendo a ridurre le recidive e a migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Le tecniche interventistiche principali
Durante l’angiografia possono essere eseguite diverse tecniche interventistiche:
- angioplastica coronarica con stent, che prevede la dilatazione del vaso con un palloncino e successivo inserimento dello stent per mantenerlo aperto. Gli stent possono essere tradizionali o a rilascio di farmaco per ridurre il rischio di nuove ostruzioni;
- trombectomia, in quanto il catetere, in caso di infarto acuto, può essere utilizzato per rimuovere manualmente il trombo che ostruisce l’arteria;
- valvuloplastica, una tecnica atta a dilatare le valvole cardiache ristrette utilizzando un palloncino, indicata per condizioni come la stenosi mitralica o aortica.
Gli effetti collaterali e i rischi
Nonostante sia una procedura sicura, l’angiografia interventistica comporta alcuni rischi:
- reazioni al mezzo di contrasto, che possono includere allergie o, più raramente, danni renali;
- sanguinamento o ematomi nel sito di inserzione del catetere, più comuni nell’accesso femorale;
- aritmie temporanee durante o dopo la procedura;
- rischio di infarto o ictus, anche se raro, in caso di complicazioni durante l’intervento.
Il monitoraggio continuo durante la procedura aiuta a identificare e gestire tempestivamente eventuali complicanze.
il recupero post-procedura
Dopo l’angiografia interventistica, il paziente viene trasferito in un’area di osservazione. Il recupero varia in base all’accesso utilizzato:
- se radiale, il paziente può spesso alzarsi e camminare poche ore dopo l’intervento, con dimissione il giorno stesso;
- se femorale, è richiesto un periodo più lungo di riposo a letto (4-6 ore) per prevenire complicanze nel sito di inserzione.
Nelle settimane successive, inoltre, il paziente deve:
- seguire una terapia antiaggregante, come aspirina o clopidogrel (o in caso di infarto acuto anche ticagrelor e prasugrel), per prevenire la formazione di coaguli nello stent;
- mantenere uno stile di vita sano, con un’attenzione particolare alla dieta, all’esercizio fisico e al controllo dei fattori di rischio come ipertensione e colesterolo alto.
- Effettuare controlli cardiologici periodici, per ottimizzare al meglio la terapia e valutare eventuali ulteriori indagini di approfondimento da eseguire nel tempo.